Un irrinunciabile rito quotidiano (ormai consolidato) ci fa gridare allo scandalo ad ogni piè sospinto. Spesso a ragione. Ma quanto avremmo già ottenuto, avviando le nostre denunce un trentennio fa?
Denunce a go-go. Corpi imprigionati dal ricordo; un lassismo auto-indotto, una forte nostalgia dell’ormai lontano boom economico (che ci aveva abituati fin troppo bene; una pigrizia fortemente condizionata dall’ignavia del passato. Ecco, in sintesi, le quattro cause che hanno determinato il torpore di lingue e manifesti infuriati per almeno un trentennio; poiché, ricordiamocelo, fenomeni poco accettabili (come l’abusivismo edilizio o l’eccessivo consumo di coloranti e additivi nella produzione di alimentari) sono assai retrodatabili, rispetto al primo Governo Berlusconi. Eppure, lo scandalo non c’era, i criticoni tacevano, le denunce scattavano solo se si parlava di gay e femminismo.
Cosa ci ha resi ciechi? Non potendo scavalcare le competenze di critici e studiosi assai più competenti, per trovare una spiegazione al fenomeno storico possiamo solo abbozzare una grossolana interpretazione: nel ventennio ’70-’80 si viveva bene, l’euro non esisteva ancora, l’inquinamento non aveva ancora raggiunto le stelle, i mercati erano in pieno fervore ed il club Bildemberg non aveva ancora arrecato grossi danni. Insomma: avevamo ben altro di cui preoccuparci (hippies, disco e rock’n’roll), e chi ha mai sprecato il suo tempo per denunce sul cattivo impiego di fondi pubblici?
Poi, arrivano gli anni ’90 (primi problemi con Veltroni & co., e colpo di grazia di Berlusconi) accompagnati da una prevedibile crisi d’inizio millennio con la successiva Era dei Social. Le cose cominciano ad andare male, ma stavolta davvero male per tutti; e quindi, comprovata la scarsa efficacia delle denunce tradizionali, si comincia a gridare “al lupo” in tutti i modi possibili: sui blog, sulle webzine, sui free press e, non ultimi, sui numerosi post, gruppi o pagine di Facebook. Ognuno trova sempre una scusa per esprimere la propria indignazione – e purtroppo, spesso, a ragione: guerre a suon di commenti urlati e memes arrabbiate cominciano ad affollare le già intasatissime bacheche, perché oggi, diciamocelo, c’è sempre un motivo per lanciare una denuncia #social. E il guaio è che non abbiamo solo Facebook, ma esistono tantissimi altri canali ottimi per amplificare l’effetto megafono.
Critichiamo sempre, ormai è un irrinunciabile rito quotidiano, ma raramente abbandoniamo quel lassismo che ancora paralizza i movimenti. Certo, un primo passo è stato fatto: oggi c’è la presa di coscienza. E per cambiare davvero le sorti del malessere comune, aspetteremo un altro trentennio? Pensate se avessimo cominciato a fare sul serio trent’anni fa: a quest’ora ne avremmo guadagnato in salute. Anche del web.