Continuano le testimonianze di vite ricche di vita. Oggi è la volta di Milena, ragazza che conosce il mondo, che sa amarlo e viverlo appieno. Come sempre, lasciando spazio al racconto e al punto di vista diretto riportiamo le sue parole, che rispecchiano in modo chiaro e semplice la vitalità della conoscenza.
Cosa evocano in te le parole “migrazioni” e “multiculturalismo”?
Evocano la realtà in cui viviamo oggi. Una realtà multi-sfaccettata, fatta di persone che partono, ritornano con un nuovo bagaglio di esperienze, imparano a convivere con “il diverso”. Il popolo italiano è sempre stato un popolo migrante. L’Italia stessa oggi consta della presenza di tanti immigrati, che giungono nel nostro Paese con la speranza di un futuro migliore.
Il multiculturalismo è una conseguenza della migrazione, ma non è necessariamente sinonimo di interculturalità. La presenza di persone di diversa cultura e provenienza sul medesimo territorio non implica necessariamente scambio e comunicazione. A parer mio, in Italia questa parola rimanda ancora ad una “accettazione e tolleranza stentata” del diverso, ben lontana dalla sua integrazione. “Intercultura” è la parola chiave per una società basata sull’interazione, il rispetto reciproco e la disponibilità ad aprirsi al dialogo con l’altro, per imparare e allo stesso tempo offrire un insegnamento.
Se ti chiedessi di raccontarmi un episodio su questi due temi, cosa mi diresti?
Mi tornano subito in mente i tre anni passati a Londra. Credo non esistano città più vibranti di quella. Un “melting pot” di culture ed etnie differenti. Ricordo che ero riuscita a farmi degli amici provenienti da ogni parte del mondo: Europa, Asia, Africa, Australia… conoscevo gente originaria delle Mauritius, dalle Bahamas, persone che nel mio Paese mi sarei sognata di incontrare solo su Facebook. Nella capitale inglese invece tutto è possibile: ognuno è libero di praticare il proprio credo, convivendo e interagendosi perfettamente con l’altro, in un equilibrio ideale.
Una mattina di Giugno mi recai in una scuola media non molto lontana dal centro della città, per osservare delle lezioni di lingua straniera da vicino. Mi serviva per il colloquio che avrei dovuto sostenere in vista di un PGCE, una specializzazione che in Inghilterra permette di insegnare nelle scuole pubbliche. Un’dea che avrei di lì a poco accantonato per andare in Africa. Quello che vidi in quelle aule riempì il mio cuore di gioia. Colori, tanti colori. Non quelli dei pennarelli, ma quelli dei bimbi. Un arcobaleno meraviglioso: indiani, africani, inglesi, asiatici; insieme, tutti parte di una stessa nazione, ma conservando la propria unicità.
Quando mi sedetti in uno dei banchetti di una rumorosa classe seconda con il mio taccuino di appunti, due bambini mi chiesero se ero stata nei loro Paesi. Io risposi di sì per il Ghana e di no per la Nigeria. La bambina ghanese era elettrizzata mentre il bimbo nigeriano sembrava piuttosto deluso. Lo rassicurai, dicendogli che presto sarei andata anche in Nigeria. Lui, con aria di sfida mi disse che la Nigeria è molto meglio del Ghana e iniziò a citarmi vari posti da visitare. La bambina ghanese non rimase in silenzio e nacque un delizioso battibecco tra i due, che mi fece piuttosto riflettere. I bambini conoscevano alcuni dei luoghi, delle usanze e anche degli stereotipi dei rispettivi paesi, che pur essendo piuttosto vicini geograficamente, presentano molte diversità.
Nell’argomentare scherzosamente i pregi e i difetti delle proprie nazioni, i bimbi si stavano confrontando sul terreno della comunicazione interculturale, senza scontri e conflitti di nessun tipo. Una società del genere costruisce le sue fondamenta sulla scuola e sull’educazione, grazie alle quali i bambini imparano a stare insieme e ad instaurare relazioni sociali sane, forti e libere dal pregiudizio, per tutto il resto della loro vita. Ah, dimenticavo, un paio di anni dopo quella calda mattina di Giugno, visitai la Nigeria.
Credi si possa o si debba fare qualcosa per la conoscenza delle culture?
Assolutamente sì. La conoscenza è la chiave per superare la paura nei confronti di ciò che è diverso da noi; paura che spinge a ragionare per stereotipi e che favorisce la discriminazione razziale. Quando parlo della mia permanenza in Africa (Ghana), molte persone mi chiedono se leoni ed elefanti passeggiavano davanti casa, credono che non esistano supermercati, e che i ragazzi non vadano all’Università, per non parlare degli stereotipi sessuali sui ragazzi di colore che mi tormentano.
La scuola ha in primis il dovere di promuovere la comunicazione interculturale e la conoscenza delle culture, affinché i ragazzi crescano senza confini e barriere mentali, più pericolose e fastidiose di quelle architettoniche e di tutte le altre. Conoscere una cultura significa appropriarsi di una piccola parte del mondo che prima non ci apparteneva, aiuta anche a riscoprire se stessi e a rinforzare la propria identità.