Proiettate le ultime pellicole in gara per CortoEuropa: questa sera alle 20.00, al Teatro Pasolini, sarà proclamato il vincitore, in sala tramite Skype
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È terminato ieri il contest CortoEuropa di Linea d’Ombra, ed è tempo di bilanci.
Innanzitutto si può solo provare gratitudine per il pieno di emozioni che ogni autore ha donato alla giuria e al pubblico: se la prima serata aveva colpito per la qualità della selezione e la seconda era riuscita nell’incredibile superandola, l’ultima proiezione ha saputo addirittura spiazzare.
Quale ultimo appuntamento, la votazione di ieri è stata frutto di un pensiero maturo, ponendosi anche la necessità di ricalibrare i voti assegnati a ciascun cortometraggio facendo sineresi con gli altri: ieri è avvenuta finalmente la contestualizzazione dei voti, ricalcolati su un confronto complessivo possibile solo al termine della rassegna.
Ecco le impressioni della terza proiezione.
Born in the Battle
Yangzom Brauen, 2015, Svizzera, 20’
Born in the Battle è un film maestoso, quasi un colossal della psicologia: un grandissimo e sapiente impiego di immagini e riferimenti per comunicare stati d’animo e situazioni. Ma andiamo con ordine.
Il gioco del regista è tutto nella commistione tra realtà e fantasia in un ragazzino costretto alle aberrazioni della violenza. Bellissimo lavoro.
La sceneggiatura è semplice, poggiata sulla durezza delle storie vere da cui è tratta, ma non sempre riceve adeguato sostegno dalle altre variabili.
In particolare, a tratti pare che la parola (il lessico) non sia coerente con le caratteristiche del personaggio: il protagonista, narratore, pare avere un registro troppo prosaico per ciò che egli è.
Sembra legga una storia che non gli appartiene: non è (solo) una problematica interpretativa.
La narrazione è lenta ma accesa dal peso della tematica raccontata.
Eppure Born in the battle è costruito molto bene da una regia che entra in punta di piedi nell’interiorità dello spettatore; senza mai tralasciare la severità che un simile racconto esige per giustizia, il regista riesce a tenere il dramma di questa storia come perfettamente ovattata da un adeguato pudore: in tal modo non scade nei patetismi e nelle esagerazioni, pur non rinunciando a nulla.
Metromorphosis
Jef Dehouse, 2016, Belgio, 2’30’’
È quasi imbarazzante scrivere di un corto più corto di questo articolo.
Metromorphosis merita molta attenzione, sia perchè per la brevità rischia di non sedimentarsi nell’interiorità dello spettatore e sia perchè l’attenzione all’altro è tema che innerva la storia.
A guardarlo sarebbero tre minuti spesi veramente bene: non è facile entrarci in sintonia, almeno finchè non si trova nel proprio quotidiano lo spazio in cui questo tassello aspettava da sempre di essere incastonato.
Il riferimento più immediato è a quegli artisti di strada, spesso homeless, che hanno su di sé il peso del colore del quotidiano, contro il grigiore di una società che ha perso l’immaginazione.
Le loro esibizioni – sempre pregevoli, a dire il vero – non ricevono mai l’adeguato riconoscimento se non da chi non ha ancora sovrastrutture.
In quest’ottica, la conseguente lettura secondo cui, a chi è ai margini è negata persino la delicatezza di un gesto cordiale. Ma c’è anche il tema dell’attenzione da dedicare alla persona che abbiamo più cara tra le altre.
A questo si aggiunga la variabile della diversità, dove un fortuito incontro mette in comunicazione due universi che vivono su lunghezze d’onda – meglio: su una gamma di colori – che non appartengono al loro conteso sociale.
L’incontro tra un artista di strada e una bambina, forse un passaggio di testimone: Metromorphosis è una piccola rivelazione perchè, breve, esplode in miriadi di significati ma, soprattutto, sa richiamare contenuti alla memoria come pochi altri prodotti.
Bitchboy
Måns Berthas, 2016, Svezia, 15’
Un bianco e nero luminosissimo, una fotografia ampia: accorgimenti necessari per una storia che taglia il respiro.
La visione di Bitchboy accresce un senso di tensione emotiva finchè non prende – fisicamente – allo stomaco.
Il regista è un buon affabulatore: pur concedendosi qualche leggerezza narrativa per rendere credibile lo sviluppo della sua storia, accompagna lo spettatore in una trama che si dispiega lentamente, con risultati sorprendenti.
Non sollevano dal tenore greve della narrazione le poche tinte di ironia e forse neanche ce n’era l’intenzione.
La determinazione di questo protagonista, così oscuro, diventa lentamente più chiara e più difficile da accettare.
Viva gratitudine per le scelte di regia che alleggeriscono il carico emotivo con gli accorgimenti di cui sopra ma, soprattutto, vivo apprezzamento per la scelta delle maschere di ogni personaggio: ogni volto, ogni espressione, ogni ingranaggio del cast ha saputo seguire il ritmo della narrazione e rimanere fedele a sé stesso.
Djinn Tonic
Domenico Guidetti, 2016, Italia, 14’20’’
Amabilissima commedia fantastica. Un tema tremendamente attuale, nello scontro tra il pragmatismo di chi conosce le proprie difficoltà e prova a risolverle e chi vaneggia di un ottimismo che rasenta il fantasioso.
Spiritosissimo, tra risate e sorrisi offre svariati spunti di riflessione: dalla lucida disperazione di chi ricorre a maghi e fattucchieri alla tematica del lavoro.
La giustapposizione tra i colori caldi dell’ambientazione contro il chiarore del protagonista è un elemento narrativo che sostiene il gioco tra le due figure che, in fin dei conti, fanno da spalla al Deus ex machina, il Grande Assente che muove le cose: il lavoro. È chiaro che, usando questa chiave di lettura, non c’è nulla di fantasioso in questa commedia. Un must da (ri)vedere.
I am sorry
Teodor Kuhn, 2015, Slovacchia, 16’34’’
Forse un dolore o il sincero pentimento per una condotta scellerata o impulsiva sono il mezzo necessario per crescere e maturare.
Questo corto, dalla narrazione scorrevole ma lenta, esprime bene il dramma delle scelte sbagliate, dell’angoscia covata in solitudine e la desolazione del non poterne parlare con nessuno.
Allo spettatore che si lascia prendere, il corto riesce a trasmettere il magone che accompagna il personaggio.
Soprattutto per i più giovani, il compimento di un atto, per quanto grave, lede anche chi lo compie: sarebbe interessante proiettare questo corto nelle scuole, dove i ragazzi imparerebbero che ragionare è indispensabile e alcuni docenti ricorderebbero che spesso una condotta ineducata non si corregge con una punizione perchè dietro ci sono altri tormenti da risolvere.
Trabucos y pistolas
Daniel Noblom Gibert, 2016, Spagna, 20’
Di primo acchito si pensa sia uno di quei sudici film storici, quei feticci senza interpretazione nè altra trama che le sconclusionate pagine di storia del libro del liceo.
Questo lo rende forte.
Coraggiosamente, il regista ha avuto la determinazione di utilizzare tutti gli stereotipi negativi del realismo storico presenti nelle produzioni cinematografiche di bassa qualità.
Non appena il motore si riscalda – scaltro non dichiarare da subito il registro comico – lo spettatore alterna sorrisi e risate per una storia che si fa sempre più assurda, demenziale e cerca in questo di essere ilare.
A questo punto pesa fortemente la variabile del gusto perchè possa essere godibile fino in fondo. Chi ha apprezzato l’umorismo demenziale di Marcello Cesena in Sensualità a Corte troverà questo prodotto molto appetibile.
Sicuramente un corto da condividere su Facebook, taggando gli amici giusti.
The chunk and the whore
Antoine Paley, 2015, Francia, 15’
Un cortometraggio che piacerà agli inguaribili romantici.
Molto dolce, è una di quelle storie in cui due marginalità si incontrano: da lì solo poesia.
L’ottima interpretazione dei protagonisti, conferisce peso e credibilità ad una storia che poggia su un’idea semplice, forse neanche così originale.
Eccellente anche la capacità del regista di assecondare gli interpreti nelle loro espressioni. Forse è proprio questo accompagnamento così sobrio e ben delineato che facilita l’immedesimazione nel racconto.
Se il silenzio è d’oro, questo corto ha trovato una vena molto preziosa: i silenzi, come non sempre accade, scandiscono un ritmo preciso e riescono a sostenere persino alcuni dialoghi.
È dura…
…immaginare chi vincerà, ma è certo che questa settimana di proiezioni, eventi e spettacoli è stata una florida opportunità per Salerno che ottiene, in queste boccate di cultura, ossigeno per le menti.
La gratuità di un’offerta di tanto alta qualità e i prezzi irrisori dei altri eventi organizzati nell’orbita Linea d’Ombra (visitato la pagina FB?), contribuiscono enormemente all’innalzamento della vivibilità e del tenore di vita dei residenti.
Realtà di questo genere sono da coltivare: coltivare un Festival delle Culture Giovani significa prenderci cura dei nostri virgulti, insegnando loro che la Cultura è Gustevole.
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