# coglioneNO, i creativi nell’occhio del ciclone. Ecco perché la denuncia diventa giusta e legittima
# coglione? No. Sono penetrati un po’ ovunque, i tre video pubblicati su Youtube da un gruppo di videomakers freelance per denunciare lo sfruttamento dei “creativi”. Non c’è timeline social, sito, blog o giornale web che non ne parli. Conquistare una grande viralità, però, non li ha salvati dalle critiche.
“Per questo progetto non c’è budget”: la frase ricorrente, giocata sull’accostamento con alcuni mestieri manuali (idraulico, giardiniere, antennista) che necessitano regolare retribuzione scatena il paradosso: perché, invece, i freelancers non possono aspirare ad essere ugualmente ricompensati? E chi si permetterebbe mai di dire al proprio antennista: “Sei giovane, ha fatto un’esperienza”?
Molti giornalisti, però, hanno espresso un deciso dissenso: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso“, “# coglioneForse“, “coglioneNo, se accetti un lavoro gratis lo diventi“. Il fatto è che i cosiddetti “creativi” scelgono quotidianamente di rimanere ancorati alla propria condizione d’insoddisfazione, svolgendo lavori gratificanti per il proprio talento ma inevitabilmente non retribuiti o sottopagati. Anche sui social networks il dibattito dilaga: sono # coglioni o eroi?
La domanda che invece, oggi, bisognerebbe porsi è un’altra. Perché i creativi non possiedono adeguati canali d’inserimento nel mondo lavorativo? Cosa manca per passare allo step di “regolare contratto”, qualsiasi esso sia? Un ingegnere che cerca lavoro generalmente contatta le aziende specializzate nel proprio settore; un avvocato o un medico trovano impiego tramite bandi pubblici e assegnazioni; un attore può trovare posto in una compagnia teatrale – ed esistono apposite scuole – mentre un architetto lavorerà presso studi già avviati o in proprio. Perché il creativo, allora, riesce raramente a trovare uno sbocco professionale concreto?
Provo a ipotizzare una risposta. Ciò che, innanzitutto, manca è la comunicazione nel settore, ovvero l’informazione offerta al giovane “coglioneNO” per conoscere le proprie prospettive lavorative. Magari potrà essere un genio della grafica, ma senza il “tramite” di un master specifico, una scuola di fumetto o di design, non avrà mai reali occasioni di visibilità (che è proprio ciò che gli viene, solitamente, offerto rispetto al normale compenso). La seconda, invece, è un adeguato canale di assorbimento. Spesso i creativi non sanno a chi vendere il proprio talento, anche se le agenzie pubblicitarie o le organizzazioni integrate di servizi per il web non mancano. Molti datori di lavoro spesso richiedono specifiche skills per la gestione dei social media, delle pagine web, dei canali pubblicitari ecc. ma non sanno dove cercarle, perché molti cv restano “nell’ombra”.
Ciò che viene da chiedersi, dunque, è perché a tutt’oggi non esista un modo per facilitare l’ingresso dei freelance in contesti lavorativi concreti. Omertà? Inerzia? Indifferenza? Di certo, i creativi in circolazione sono tanti, e qualcuno adeguato tra le proprie conoscenze si trova sempre. La denuncia della campagna # coglioneNo, tuttavia, solleva un problema reale quanto ignorato, che merita perlomeno una piccola riflessione collettiva.