Tra gli esperimenti narrativi di Alessandro Baricco, City è probabilmente uno dei più discussi; un romanzo profondamente amato o rigettato in toto, spesso senza vie di mezzo
Che cos’è City? Un romanzo che ricalca la struttura di una città oppure, se si preferisce, una costruzione urbana che ha assunto le sembianze del romanzo.Che si ami o meno Alessandro Baricco, le pagine di quest’opera lanciata in rete nel 1999, non passano certo inosservate. City è un po’ un gioco di scatole cinesi; le vicende in esso narrate sono ben tre, non una: non semplici binari paralleli ma cerchi concentrici, per cui, ciascuno dei due personaggi della storia principale, narra a sua volta, raccontandola a se stesso attraverso un registratore, un’altra storia.
Sulle prime il lettore potrebbe faticare a seguire i vari fili conduttori, a comprendere dove finisca la “realtà” ed inizi la finzione nella finzione, potrebbe confondere le vie: egli mettendo piede nella città sconosciuta si smarrisce, deve percorrere un po’ di strada prima di orientarsi correttamente nel groviglio di storie progettate dall’autore.
I protagonisti, a partire da quelli della storia portante, hanno l’eccentricità tipica dei personaggi di Baricco. Gould, il bambino prodigio, vive solo con due amici immaginari, Poomerang e Diesel; “tecnicamente parlando, Gould era un genio. A stabilirlo era stata una commissione di cinque professori che l’aveva esaminato, all’età di sei anni, sottoponendolo a tre giorni di test”: così Baricco inizia la presentazione del giovane protagonista, già laureato in fisica teorica a soli undici anni e ormai ben avviato verso il Nobel. È nella mente di Gould che si svolge la seconda storia del libro, quella del pugile Larry, un vero e proprio talento i cui incontri il piccolo genio racconta a se stesso, a tratti in forma corale, accompagnato dai fedeli amici immaginari.
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Shatzy Shell, assunta come governante a casa di Gould dopo una quasi surreale conversazione telefonica, dà vita alla terza storia di City, un western ambientato nella città fittizia di Closingtown, inizialmente “scritto” nella mente e in seguito raccontato al microfono di un registratore.
Non vi è quasi nulla nel romanzo che indichi il passaggio dall’una all’altra storia; la narrazione procede come un torrente in cui sia difficile distinguere un’ondata dall’altra. I livelli narrativi si intrecciano, proprio come le vie secondarie di una città intersecherebbero le strade principali.
In questo fluire continuo di storie ed eventi vi sono anche delle soste, i personaggi, quasi tutti fuori dalle righe al pari dei protagonisti; tra di essi spicca la figura del professor Mondrian Kilroy, insegnante di Statistica, autore di un Saggio sull’onestà intellettuale, esperto di superfici curve, prima fra tutte quella delle otto pareti alle quali sono affisse le Nympheas di Monet.
L’analisi del ciclo di opere, nate da un’incessante e sofferta osservazione dell’oggetto da parte del pittore, tale da rendere quelle piante “Il nulla, visto dall’occhio di nessuno”, conduce il professor Kilroy a teorizzare “l’oggettivo primato della condizione del dolore come conditio sine qua non di una superiore percezione del mondo. Si era convinto che la sofferenza fosse l’unica via capace di condurre al di là della superficie del reale. Era la linea curva che dribblava l’ortogonale struttura dell’inautentico”.
Tra passaggi che lasciano correre liberamente i pensieri e riflessioni all’altezza delle quali conviene rallentare il passo, City sembra scritto, tra le altre cose, per condurre il lettore verso temi quali la struttura del romanzo, il suo valore di verità nonché l’idea di finzione in generale.