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Cinquant’anni fa Sedotta e Abbandonata, e oggi?

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Cinquant’anni fa Sedotta e Abbandonata, e oggi?

Sedotta e abbandonata di Pietro Germi, uno dei capolavori della commedia all’italiana, può suscitare diverse riflessioni. Dal racconto mitologico della Sicilia all’immagine contemporanea della donna nella società, cosa cambia?

sedotta e abbandonata

Sono passati cinquant’anni dal film Sedotta e Abbandonata di Pietro Germi, ma la distorta visione di cosa sia la donna, si può argomentare partendo da uno dei film che ha meglio dichiarato lo stereotipo di una piccola realtà, come la Sicilia (simbolo di una tradizione atavica, luogo del mito e dell’origine), per denunciare in maniera piccante e intrigante i controsensi della società.

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Se analizziamo l’immagine sopra riportata possiamo individuare elementi compositivi che condizionano il pensare sociale, in questo caso: in primo piano le donne vestite di nero, alle loro spalle lo scorcio di un paese statico e antico, di lato invece la croce (Chiesa) e un gruppo di uomini.

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Le donne in Sedotta e Abbandonata assumono posizioni diverse e i loro sguardi sono il fattore decisivo. Le figlie devono guardare a terra o nel vuoto, la mamma invece ha lo sguardo attento e può tenere la situazione sotto controllo, tanto ormai è accasata. Germi dice molto in ogni inquadratura, nella scelta dei luoghi, nell’attenzione ai dettagli e nella direzionalità degli sguardi degli attori, in cui iscrive il senso del film.

Stefania Sandrelli soccombe alle tentazioni del fidanzato della sorella, rimane incinta, il fatto viene a galla. Pur negando a lungo l’identità del seduttore alla famiglia, con il tempo, la sedotta (già abbandonata) confesserà tutto alla polizia. Pietro Germi non è stato solo un grande regista, ma anche un narratore eccezionale; egli scelse di dare al film un titolo preciso, di un certo valore rivoluzionario. Seduzione e abbandono, infatti, diventano le due azioni portanti della storia, su cui si costruisce il dramma della sventurata.

sedotta e abbandonata Germi era geniale per molti motivi, tra cui la scelta di piazzare al centro della vicenda di Sedotta e Abbandonata una giovanissima attrice come Stefania Sandrelli, che già faceva parlare di sé per la sua storia d’amore, fuori dagli schemi, con Gino Paoli. Siccome la commedia all’italiana si rivolgeva soprattutto a un pubblico maschile, questa scelta assume un significato provocatorio: Stefania rappresentava, nell’immagine dell’uomo medio italiano degli anni ’60 una ribelle, una donna fuori dagli schemi nazionali (di derivazione fascista), e il fatto che lei abbia ceduto alle provocazioni dell’uomo della sorella la conferma come donna trasgressiva, lontana dal canone prestabilito. E’ proprio in questo personaggio, tanto fittizio quanto reale, che si trova la manifestazione dello stereotipo di stampo cattolico e culturale. Stefania Sandrelli guarda verso un ipotetico spettatore nel momento in cui si consuma la seduzione, ed è così: Germi mette in relazione la donna sedotta con la concezione sedimentata dello spettatore medio, che lascia la moglie a casa e va al cinema per appagare i suoi impulsi, che tornando dal lavoro ha il diritto di concedersi dei momenti di svago con gli amici.

Sedotta e Abbandonata comincia con l’attraversamento di Agnese, accompagnata rigorosamente dalla madre, del piccolo paese siciliano. Il suo sguardo è in sintonia con l’arretratezza del luogo, la sua aspirazione diventa quella di assecondare i bisogni degli altri, qualsiasi. La canzone che accompagna i titoli di testa è una sorta di alter ego mitologico dell’autore, la sua istanza poetica, che ci dichiara i fatti che andremo a vedere, come si può osservare dalla clip che segue.

Il cinema è stato un mezzo perfetto per la veicolazione dei valori sociali e culturali, e quindi politici, di una nazione; con la commedia all’italiana invece diventa uno strumento potente per demistificare, stroncare i controsensi, portandoli a galla con sagacia e coraggio, attraverso l’ironia. Una satira, quella di Germi, che pone al centro della sua riflessione lo stereotipo. Al di là del grande valore narrativo e ideologico della concezione dell’onore famigliare nella Sicilia degli anni ’60, ciò che emerge dal film è il complesso rapporto uomo-donna in un percorso faticoso verso l’affermazione della sessualità come manifestazione di gender, andando oltre la mera divisione biologica.

sedotta e abbandonata Laura Mulvey è stata una delle maggiori studiose di identità di gender, dimostrando quanto il cinema hollywoodiano abbia avuto il potere di costruire il senso di una nazione attraverso i generi cinematografici, dove donna e uomo sono stati, di volta in volta, ridefiniti culturalmente.

La commedia come massima espressione dell’uomo, il sesso forte, crolla con generi come il noir, in cui la donna lo possiede e lo manipola fisicamente e intellettivamente, il melodramma famigliare, nella constatazione della famiglia come contenitore di frustrazioni, e il musical, in direzione di una liberalizzazione sessuale. Mulvey denuncia in qualche modo il cinema, per aver legittimato la costruzione sociale dell’immagine della donna, basandosi e alimentando la società patriarcale.

Ciò che vediamo delle donne nel cinema non corrisponde alla loro natura sessuale e psicologica, ma è solo un prodotto dell’inconscio maschile. Questo passaggio è importante per arrivare alle considerazioni sull’immagine della donna contemporanea; perché la donna è un’immagine, appunto, rappresenta per l’uomo una visione, una somma di retaggi culturali e costruzioni mediatiche, è un simbolo sociale che cambia senza mutare mai la sua essenza, rappresenta un corpo da sedurre, possedere, ma una donna da amare.

Pietro Germi e Laura Mulvey possono essere due tra le tanti voci che ci aiutano a comprendere che cosa sia la femminilità, ma soprattutto chi lo decide. Il primo parte dall’osservazione della società e arriva al cinema, per raccontare e denunciare la presunzione dell’uomo di poter sedurre una donna, ma di ripudiarla come moglie perché non illibata (come accade nel film); la seconda invece parte dalla costruzione fittizia cinematografica per decifrare una società abituata a identificarsi nei valori hollywoodiani, prestabiliti politicamente. Le due dimensioni si incrociano e si smascherano a vicenda, ma l’una non può fare a meno dell’altra. Di fatto rimane aperta la questione, oggi la società ha davvero abbattuto la mentalità maschilista?

La cronaca nera ci insegna che l’uomo spesso uccide la donna che crede di amare, l’uomo tradisce, ma la società non sempre comprende il tradimento femminile. Sono stereotipi, ma attraverso il paradosso dello stereotipo si può arrivare a una verità più lucida, come ci insegna Pietro Germi. La donna oggi crede di aver conquistato la sua ambita emancipazione, ma le nostre mamme spesso credono che noi figlie siamo più libere avendo tutto ciò che prima era categoricamente vietato. Bruciamo le tappe, mostriamo subito il nostro corpo, facciamo le nostre esperienze con arroganza a volte, crediamo che la parità dei sessi sia concedersi (come l’uomo ci chiede anche solo per come ci guarda). Il comune senso del pudore però, continua a definire la donna permissiva un risultato sbagliato del percorso verso l’uguaglianza, perché ancora oggi l’uomo e la società si prendono il diritto di codificare la sessualità della donna. Ci torna utile Laura Mulvey infatti, quando afferma che l’identità di gender è una costruzione sociale e culturale, e questa metodologia non si può scardinare, è insita nell’uomo e nel suo modo di guardare la donna: proiezione mentale.

In fondo è vero. La donna ha abusato della sua emancipazione (anche questa una costruzione su più livelli, oltre che un episodio storico) e ha trasformato la sua “Dipendenza” e “Repressione” in una intollerante mercificazione di se stessa;  l’Arte Contemporanea ha lavorato molto su questo controsenso della femminilità (come l’opera L’origine della guerra di Orlan). Forse la donna non sarà mai libera, perché sarà sempre soggetta allo sguardo maschile, a cui intende arrivare, perché è nella sua natura. La rivoluzione dovrebbe avvenire nell’uomo appunto, educando se stesso a un’immagine della donna più concreta e autentica, capace di rispettare la sua indole, la “dualità” corpo e anima.

Gli orientali sono davvero simpatici quando affermano che le loro donne sono più libere di quelle occidentali, perché possono studiare e lavorare, ma se scelgono di restare a casa e accudire la famiglia, non sono oppresse dal giudizio comune che definisce la casalinga una donna limitata. Concezione occidentale questa, che reputa la donna in carriera più libera di quella che rimane a casa. Chi lo stabilisce? Forse ha ragione anche il simpatico orientale, che ironizza sulla condizione femminile. Quest’esempio ci aiuta a capire quanto la libertà della donna sia un continuo patto con la società, che la codifica e la limita. sedotta e abbandonata

Agnese infatti dovrà fare un matrimonio riparatorio, sposare l’uomo che l’ha sedotta e abbandonata, per salvare l’onore della famiglia. E il suo? Chi salverà il suo onore?

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Laureata in D.A.M.S presso l'Università di Udine, giornalista pubblicista, curo da un anno la rubrica ZONmovie con un bel gruppo di collaboratori. Cerchiamo di seguire gli interessi dei lettori, ma allo stesso modo vogliamo garantire i contenuti, sempre ben argomentati e fondati rispetto a ciò di cui parliamo. Analizziamo la rubrica in relazione all'arte, all'animazione americana e seguiamo le migliori serieTv e, con speciali dedicati, offriamo retrospettive sulle serie più attese. Inoltre, anche la nuovissima rubrica "Dal libro allo schermo" garantisce una pluralità di contenuti. Non solo. ZONmovie propone anche una sezione dedicata alla WebSerie, con appuntamenti settimanali.