A pochi giorni dal sanguinoso attentato al Charlie Hebdo, la riflessione si sposta sul metriotes, il giusto mezzo aristotelico
Editoriale a cura di Gerardo Mele
[ads2] Parigi, 7 gennaio 2015 – Un commando armato fa irruzione nella sede del Charlie Hebdo, settimanale satirico, ed è strage. Quali sono le possibili chiavi di lettura di un avvenimento così truculento?
Premettendo che chi scrive ha poco o nulla a che fare con l’ambito religioso e che, ciononostante, condanna fermamente sia il fatto di sangue avvenuto nella capitale francese sia il più bieco fanatismo, ritiene doveroso svolgere alcune riflessioni in merito a una vicenda così complessa.
Il primo assunto su cui vorrei puntare l’attenzione è una discrasia di carattere storico afferente all’ambito strettamente religioso: il periodo storico che l’Oriente islamico si trova a vivere, non è molto lontano dalla condizione vissuta dall’Occidente nei secoli del Medioevo.
Ogni azione comporta una reazione, e la reazione degli attentatori del Charlie Hebdo alle vignette satiriche su Allah e Maometto non è tanto distante da ciò che capitava nel mondo cristiano, appunto, nel Medioevo. Azione e reazione che portarono alle Crociate: all’espansione delle potenze islamiche nel VII secolo vi fu la “risposta” del mondo cristiano dovuta essenzialmente sia a una dannunziana “volontà di potenza” ante litteram che a un desiderio smisurato di ricchezze, il tutto mascherato dietro la santa missione di liberazione della terra di Cristo. La cosa che maggiormente c’interessa in quest’occasione è che le Crociate si configurano come eventi ancor più sanguinosi che hanno e continueranno ad avere il proprio spazio nei libri di storia, ma che, sicuramente, non hanno avuto la stessa risonanza della vicenda di Parigi, dovuta agli immensi poteri che hanno oggi gli strumenti di comunicazione di massa.
Proseguendo nel ragionamento, dalla parte dell’Occidente, sarebbe forse fin troppo facile sbandierare la libertà di parola e d’espressione; ma quello su cui vorrei che ci si focalizzasse è capire anche i limiti di questo concetto; l’espressione che per poter esprimersi liberamente (pare quasi un ossimoro), senza incappare in sanguinose ritorsioni, deve mantenere la giusta distanza, tenendo fisso in mente che l’obiettivo finale è sempre il rispetto reciproco, senza il quale un rapporto tra Oriente e Occidente non può aver ragione d’essere né ora né mai.
È evidente, dunque, una mancanza di evoluzione della forma mentis orientale in quelle che sono le vicende di carattere religioso. A cosa è dovuto tutto ciò? Il concetto essenziale è che l’Islam fino a un certo punto della sua storia è stato anche all’avanguardia della civiltà, ma dal XIII-XIV secolo si è ripiegato su se stesso ed è rimasto indietro rispetto all’Occidente. L’elemento emblematico, fondamentale, è da individuare nel fatto che a un certo momento, nel XIII-XIV secolo appunto, si è considerato concluso il lavoro d’interpretazione della Sharia e si è dichiarato, quindi, che null’altro poteva essere detto, bisognava solo attenersi a quanto già deciso. In questo modo si è decretato la fine della ricerca, della scienza, in sostanza la fine dell’evoluzione del pensiero islamico.
Ora, e qui giungiamo al nocciolo della questione, bisognerebbe dotarsi tutti, Oriente e Occidente indistintamente, di quello che il latino Orazio, ben 2000 anni fa, definiva il fulcro della sua visione di vita ossia, il μετριότης, il metriotes, il “giusto mezzo” di Aristotele.
Ritengo proprio che il “giusto mezzo” sia una componente imprescindibile per poter sperare in una ricomposizione, che ora come ora appare lontanissima e irrealizzabile, per poter provare un dialogo tra Oriente e Occidente. È solo seguendo questa strada, che da un lato comporterebbe l’abbattimento o quantomeno la riduzione del fanatismo, dall’altro una maggiore attenzione legata alla preziosa e, proprio per questo indispensabile, libertà d’espressione, che si può provare una ricucitura tra due parti di un mondo così diverse tra loro.