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Cesare Zavattini. Un profeta dei nuovi media

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Cesare Zavattini. Un profeta dei nuovi media

Cesare Zavattini, a 25 anni dalla sua morte, rimane uno degli intellettuali più radicali e innovativi. Ancora attuale, ricordarlo aiuta a comprendere anche il nostro presente

Cesare Zavattini nel 1982 realizza il suo primo film, anche da regista, La Veritaaaà, legato al soggetto “Assalto alla TV” degli anni ’60, ed è la televisione la tematica chiave del film.

cesare zavattini

Sceneggiatore, regista e attore, Zavattini interpreta un pazzo. Scappa dal manicomio per rivolgersi alla gente e alla televisione, in cui chiede di attivare il programma “Il canale degli italiani, il canale della Verità“.

Un film per molti aspetti monotono e complesso, prolisso nei dialoghi, con pochi momenti stimolanti, rappresenta però il testamento di Cesare Zavattini, ultima sua opera prima della morte, che racchiude la sua ossessione per la “Verità“.

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Arriva da Luzzara (Reggio Emilia) e si stabilisce a Roma, dove si concretizza il suo percorso da intellettuale e narratore. La narrazione è il primo approccio di Zavattini con la realtà, ma fin da subito emergono due sue caratteristiche: la polemica e il senso dell’umorismo. Collabora infatti con il Marc’Aurelio dal 1936 al 1940, fonda la rivista satirica Bortoldo a Milano, e il giornale umoristico il Settebello. Nel raccontare se stesso, con Parliamo tanto di me, Zavattini descrive e analizza anche la società tra polemica e umorismo.

Il cinema rappresenta senza dubbio la palestra più importante per Cesare Zavattini, per diversi motivi: secondo Dopoguerra, quindi un bisogno di staccarsi, eticamente, dalla rappresentazione per mettere tutti i mezzi di espressioni al servizio della realtà storica; l’incontro proficuo con registi/autori come Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Alessandro Blasetti, Federico Fellini e soprattutto la stretta collaborazione con Vittorio De Sicacesare zavattini

Da sempre associato al Neorealismo, Zavattini viene definito come la mente del cinema italiano post-guerra, il narratore rivoluzionario, che ha portato al crollo delle storie tipicamente fasciste, costruite sull’immagine della famiglia di regime inserita nella modernità e nel benessere (primo livello di analisi del cinema degli anni ’30), per dare spazio alle problematiche della gente comune, ma soprattutto raccontare (nel suo senso etimologico) un paese ferito dalla guerra, disilluso e povero, azzerando un linguaggio codificato per fare dell’occhio della macchina da presa un atto di denuncia, che raccoglie testimonianze e svela umanità offuscate dalla politica e dalla stasi culturale, quindi antropologica: Quattro passi fra le nuvole (1942), I bambini ci guardano (1943), Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1950), Bellissima (1951), Roma ore 11 (1952),  il capolavoro Umberto D. (1952), film che chiude “politicamente” l’esperienza del Neorealismo.

Da questa esperienza di narratore, Zavattini formula anche nuove regole di regia, una nuova moralità, che trasforma l’obiettivo in un occhio che spia nelle serrature delle case, che corre e inciampa nelle strade, incontra persone e non personaggi: il cinema deve comunicare attraverso il materiale che offre la realtà in cui s’imbatte, è un suo dovere storico ed estetico.

L’aspirazione di Zavattini di girare un film da regista si percepisce subito, per la sua predisposizione a sperimentare varie forme di linguaggio e diversi mezzi di comunicazione. Questo accadrà solo alla fine del suo lungo percorso, dopo aver sperimentato radio, giornali, fumetto, scrittura (dal racconto alla sceneggiatura, diario). Il diario è un’altra dimensione importante per Zavattini, contenitore di pensieri intimi, rivelazioni, riflessioni più o meno radicali, tutto sintomo di una spinta esasperante e precipitosa verso la modernità, fino a entrare nella Verità. Che cosa sia la “Verità” per Cesare Zavattini, rimane ancora un mistero.

La realtà, l’uomo, l’arte, la scrittura, il povero, la Storia, la favola, il cinema. Ogni forma di espressione racchiude un pezzo di verità, per l’intellettuale emiliano ma il cinema, forse, è il mezzo più potente, e di conseguenza la televisione. Zavattini segna infatti il passaggio ideale e l’osmosi, tra cinema e televisione, attraverso il film inchiesta; quel cinema leggero che avrebbe potuto dare a chiunque la possibilità di interrogare la realtà, farne esperienza e raccontarla in maniera diretta, immediata, senza filtri. Di fatto però le sue collaborazioni più importanti presentavano una solida sceneggiatura, una narrazione vera e propria, un pathos forte, una forte umanizzazione, trovando anche in forme di racconto come la favola, una funzione didascalica sul piano storico e sociale; basti pensare a Miracolo a Milano, che fa del povero e fiabesco Totò la metafora di una continua lotta per la giustizia sociale.

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Questo attaccamento alla scrittura dimostra, non solo la formazione di Zavattini, ma il bisogno di dare una forma all’immagine della modernità, e nella continua sperimentazione, trovare quel linguaggio più efficace, più vero, perché più adeguato. L’immaginazione è la terza caratteristica insieme alla polemica e al’umorismo, perché dietro ogni denuncia, ogni ribellione e ogni triste constatazione Zavattini riusciva a sperare, immaginando e dando forma al suo mondo ideale. Oltre alla sua importanza “scientifica“, Cesare Zavattini si può definire un poeta, per la sua sensibilità e attenzione al mondo che lo circonda.

Stefania Parigi, docente di cinema italiano del DAMS di RomaTre, in Fisiologia dell’immagine. Il pensiero di Cesare Zavattini associa il pensiero di Zavattini all’idea di immagine come organismo con funzioni vitali: la volontà dello scrittore di entrare e uscire da diverse forme di espressione, dimostrando la sua grande capacità di saper scardinare le logiche delle realtà su più livelli, facendo della sperimentazione il suo pensiero in continua evoluzione. L’immagine del ‘900 è una costellazione di incontri e scontri tra buoni e cattivi, tra “io zavattiniano” e voi, tra guerra e lotta, tra uomo e arte.

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Cesare Zavattini scopre la televisione, il mezzo su cui rifletterà a lungo.

Capace di parlare della realtà in tempo reale, attraverso la diretta, era da lui immaginata come un luogo in cui l’uomo comune potesse diventare il protagonista. La televisione quindi come mezzo al servizio dell’uomo, nelle sue esigenze quotidiane di raccontarsi e denunciare. Immagina la televisione come una sorta di diario virtuale, dove tutti possono “scrivere“, mostrandosi, la propria giornata. I fatti quotidiani diventano dunque il contenuto del mezzo televisivo, e l’uomo è finalmente libero di esprimersi. Questo feticismo verso l’uomo è forse il risultato di una storia e di tante politiche che hanno annullato diritti e libertà, annientando il suo potenziale poetico. Dare visibilità all’uomo diventa un’ossessione per Zavattini, fino a immaginare un mondo a tratti utopico. Nella sua constante rielaborazione artistica e intellettuale, Cesare, prevede già la società mediatica che ci “domina”.cesare zavattini Intravede una società impoverita culturalmente e totalmente spettacolarizzata: impoverita per l’abuso a-morale di mezzi amatoriali per registrare la realtà, ma anche una realtà codificata da esigenze comunicative mirate e manipolatorie. Lo spettacolo della vita quotidiana, dove l’uomo mette a nudo se stesso in televisione, viene sterilizzato e mercificato fino a trasformarlo in un attore perenne, che costruisce la sua vita secondo le logiche della telecamera (basti pensare al film The Truman Show).

Un profeta, Cesare Zavattini, che nella sua utopia di un mondo in libertà, aveva intuito il pericoloso regresso verso le logiche dello spettacolo e della rappresentazione: le due entità che dal primo momento Zavattini e i suoi collaboratori avevano voluto riempire di valori umani, sociali e storici.

La sua carica polemica, e poetica, si può respirare nei suoi diari, nei suoi tanti alter ego, nella sua incessante speranza di una forma che sia coerente al suo contenuto, e viceversa. Follia, forse? Infine il cinema si può definire un’immagine della sua “Verità, avendolo scelto come ultimo linguaggio con cui esprimere il suo pensiero, totale; il cinema quindi come sintesi di un pensiero.

Ricordiamolo così: “Per me cultura significa creazione di vita“.

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Laureata in D.A.M.S presso l'Università di Udine, giornalista pubblicista, curo da un anno la rubrica ZONmovie con un bel gruppo di collaboratori. Cerchiamo di seguire gli interessi dei lettori, ma allo stesso modo vogliamo garantire i contenuti, sempre ben argomentati e fondati rispetto a ciò di cui parliamo. Analizziamo la rubrica in relazione all'arte, all'animazione americana e seguiamo le migliori serieTv e, con speciali dedicati, offriamo retrospettive sulle serie più attese. Inoltre, anche la nuovissima rubrica "Dal libro allo schermo" garantisce una pluralità di contenuti. Non solo. ZONmovie propone anche una sezione dedicata alla WebSerie, con appuntamenti settimanali.