La detenzione e la coltivazione domestica di cannabis non sono punibili in presenza di alcune condizioni
[ads2] La detenzione e la coltivazione domestica di cannabis sono condotte non punibili in presenza di alcune condizioni, cd. circostanze del reato, aggiornate dopo annosi interventi giurisprudenziali che però non sono ancora riusciti ad armonizzare la disciplina.
Innanzitutto, per “non punibilità” non s’intende che la condotta del soggetto non sia reato piuttosto significa che essa dev’essere valutata dal giudice nel suo complesso.
Sgombriamo anche il campo dalla distinzione fra uso personale e uso a fini di spaccio: il referendum del ’93 stabilì l’abrogazione del reato di uso personale di droghe, il quale uso però resta sanzionato amministrativamente (articolo 75, D.P.R. n. 309/1990) come vedremo meglio. La Sentenza Corte Costituz. n. 32/2014, che abolisce la parificazione del trattamento sanzionatorio fra droghe pesanti e leggere introdotta con la Legge cd. Fini-Giovanardi (n. 49/2006), rimanda invece ad una classificazione dei cd. “limiti soglia” di tutte le sostanze nella tabella aggiornata allegata al D.L. n. 36/2014 (convertito in L.).
Orbene, le pene previste secondo l’art. 73, D.P.R. n. 90/1993, “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope”, sono quelle della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000. Si applica, invece, la reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da euro 1.032 a euro 10.329, se per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze il fatto è di lieve entità (comma 5). Se, inoltre, questo è commesso da persona tossicodipendente, il giudice può concedere la misura del lavoro di pubblica utilità. E, infine, le pene “sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità (…) nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.” (ult. comma).
Ciò premesso, per evitare una condanna per coltivazione di cannabis (o hashish ecc.) in casa o in altro luogo non devono sussistere elementi che ne facciano poi prevedere la destinazione a terzi e, cioè, devono prendersi in considerazione le seguenti circostanze:
- modiche quantità della cannabis (hashish, marijuana, olio, resina, foglie e infiorescenze di tutti i tipi – indica, sativa, ruderalis o ibride), e della sostanza che da essa promana (principio attivo qualitativo), cioè “tetraidrocannabinolo” (THC), per cui la soglia quantitativa massima è mg. 500, mentre per “dose media singola” è mg. 25, quindi, 20 dosi (moltiplicatore);
- mancanza di bustine, bilancini, cellophane ecc. utili al confezionamento delle dosi;
- assenza di strumenti impiegati per accelerare l’accrescimento o l’incremento delle piante (es. lampade ecc.);
- insussistenza di contatti con ambienti criminali;
- incensuratezza del soggetto e, in specie, non aver riportato condanne della stessa indole (coltivazione e/o spaccio).
In breve, gli elementi suelencati devono essere presi tutti in considerazione dal giudice per un’interpretazione favorevole ai fini della qualificazione ad uso personale, mentre non esiste un criterio assoluto per escludere uno o più di questi fattori dal convincimento dello stesso giudicante.
Viepiù, c’è difformità di giudizi perché in molte decisioni passate la Cassazione aveva individuato nel solo principio attivo il parametro interpretativo per la valutazione del fatto. Con simile miopia, la Cass. nel 2013 aveva addirittura condannato l’astratta idoneità (probabilità) a che la piantina producesse la sostanza drogante con un’anticipazione illegittima dell’integrazione del reato. Non è affatto detto, infatti, che l’aver piantato un seme porti poi allo sviluppo della pianta, laddove la compravendita di semi è del tutto lecita. Ed è stata la stessa Cass. a decidere che la lieve entità si pone anche se il pusher ha 200 dosi di “fumo” (Sent. n. 9723/2013).
In merito a ciò, già l’Ecc.ma Corte Costituzionale, con Sentenza n. 360/1995, statuì che è compito del giudice valutare se una piantagione per le sue caratteristiche (disponibilità del terreno e delle piante, semina ecc.) rientri nel concetto di “coltivazione” (cd. tecnico-agricola) di cui all’art. 73, D.P.R. 309/90, oppure, se e in quanto modesta e rudimentale (coltivaz. cd. domestica), non possa nemmeno definirsi tale e, per questa ragione, rientrante nella detenzione di cui all’art. 75, “Condotte integranti illeciti amministrativi”.
Quest’ultima norma (meno aspra), dunque, prevede: “1. Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto (…) per un periodo da due mesi a un anno” se si tratta in generale di cocaina, cannabis, hashis ecc., “e per un periodo da uno a tre mesi” se si tratta in sostanza di medicinali e/o barbiturici antiepilettici o ansiolitici induttori di dipendenza, a una o a più delle sanzioni amministrative che seguono:
- sospensione della patente di guida, anche di mezzi a due ruote (o divieto di conseguirla fino a tre anni);
- sospensione della licenza di porto d’armi (o divieto di conseguirla);
- sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente (o divieto di conseguirli);
- sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo (o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario).
“2. L’interessato, inoltre, ricorrendone i presupposti, è invitato a seguire il programma terapeutico e socio-riabilitativo (…).”
Tirando pertanto le somme, specie in materia di cannabis, si registra incoerenza e contraddittorietà fra i vari casi affrontati dalle Corti, sia di merito (I° e II° di giudizio) che di legittimità (III° Cass.), perché non c’è assoluta certezza dei principi enunciati.