Brasile – Facebook, uno dei social network più noti, è stato utilizzato per l’adozione illegale di bambini. La pagina “Voglio donare il mio bambino“, è stata rimossa dall’amministrazione del social network, dopo le innumerevoli lamentele da parte degli utenti.
Le adozioni, che non comportavano alcuna transazione finanziaria e nessun tipo di ricompensa, infrangono il codice civile, ha dichiarato Reinaldo Cintra, giudice dell’infanzia e della gioventù del Forum regionale di Lapa, San Paolo. “Il potere della famiglia è innegabile. I genitori non possono consegnare il proprio bambino ad una terza persona, senza l’intermediazione della giustizia”, dice Cintra.
La pagina è stata creata il 27 giugno ed ha avuto quasi 150 mi piace. In essa gli utenti si identificavano come madri disposte a donare i propri figli. “Il mio nome è Gisele, ho un figlio di quattro mesi, e non sono in grado di crescerlo”, si legge in un post del 29 giugno.
Molte le persone interessate alle adozioni clandestine: “Vengo dall’Unione Europea ma io vivo in Brasile. Ho 42 anni e avrei come preferenza una bambina e nera”, si legge in uno dei commenti. O ancora “Coppia bianca con un buon tenore di vita di San Paolo, vuole adottare un bambino”, si legge su un altro post.
Secondo il giudice Reinaldo Cintra, facilitando la donazione non assistita dalla giustizia si commette un crimine. Spetta sempre al giudice prendere in custodia il bambino per poi inserirlo in una nuova famiglia, attraverso il registro ufficiale di adozione.
Per Fernanda Beatriz Gil Lopes da Silva, consigliere di The Children e Gioventù del Ministero dello Stato di San Paolo, tutti gli utenti coinvolti nelle trattative (chi consegna, chi adotta e chi facilita) violano la legge. L’esperto richiama inoltre l’attenzione sul fatto che alcuni genitori registrano questi bambini appena nati come figli dei nuovi genitori; “Questa pratica è illegale. Si tratta di un crimine contro lo Stato di appartenenza e di falsa paternità,” dice.
Ancora una volta i bambini sono vittime di chi dovrebbe amarli di più. Ancora una volta, i “bambini” sono trattati come dei semplici prodotti da supermercato, dove chi acquista può decidere il marchio e la tipologia.