Lo “stop and go” delle attività dei centri accreditati continua a trascurare il reale fabbisogno di prestazioni sanitarie da parte dell’utenza
Per l’anno 2019 sono stati stanziati 114, 439 miliardi destinati al Sistema Sanitario Nazionale . Tale somma sarà incrementata di 2 miliardi nel 2020 e di 1,5 miliardi nel 2021. Questo è il disegno di legge sul Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario in corso dettato dalla Legge di Bilancio 2019. Gli aumenti previsti per il biennio 2020-2021 saranno però subordinati alla stipula di una specifica Intesa tra Stato e Regioni per il “Patto per la salute 2019-2021” che contempli misure di programmazione e di “miglioramento” della qualità delle cure e dei servizi erogati.
Soffermiamoci sul termine “miglioramento” che inevitabilmente implica il concetto di “qualità di vita” che a sua volta implica la soddisfazione delle principali necessità della persona, primo fra tutti il benessere fisico attraverso la prevenzione e la cura delle malattie. Ebbene si, perché la sottostima del fondo destinato alle prestazioni sanitarie in Regione Campania, anche quest’anno, non può non determinare l’anticipato esaurimento delle prestazioni gratuite per l’utenza e soprattutto per le fasce deboli ed i malati cronici. Questo conduce purtroppo verso un unico inevitabile sbocco: per accedere alle prestazioni specialistiche non resta, ad ogni cittadino campano, che pagare di tasca propria. Una situazione pubblica che vediamo materializzarsi di anno in anno nel più assordante silenzio e rassegnazione dei cittadini che devono attendere che l’inadempienza e il disservizio cessino per potersi finalmente curare. Il passato racconta che il problema del budget sanitario conclusosi anzi tempo mostra la cronicità di questa situazione che va avanti già da anni. Addirittura, quest’anno, l’amara sorpresa riservata ai cittadini campani è lo stop sanitario che si ripete con puntualità trimestrale.
Il conto lo pagano inevitabilmente oltre che i cittadini anche le strutture accreditate che erogano il servizio: il blocco delle convenzioni, infatti, coinvolge laboratori di analisi, la radiologia, la diagnostica. Di fatto gli enti accreditati, a causa della recente normativa, si sono visti tagliare i fondi: i tetti trimestrali imposti dalla Regione non permettono alle aziende in questione di arrivare neppure a Dicembre perché, procedendo per trimestre, di fatto ogni mese è come se togliessero un mese e mezzo di lavoro. Con lo stop di fine anno come era previsto in passato, il danno c’era ma era limitato ad un mese, un mese e mezzo al massimo. Le strutture rischiano il collasso perché, si stima che, con questa trimestralizzazione lavoreranno effettivamente solo 7 mesi all’anno su 12 con la ripercussione di un danno economico ingente e conseguenti inevitabili ricadute anche sui livelli occupazionali.
D’altro canto l’utenza si ritrova a dover fare i conti con liste d’attesa lunghissime e chi ha necessità di fare esami “salvavita” di particolare urgenza (es. chemioterapia) rischia spesso di arrivare troppo tardi alla diagnosi o alla prognosi fondamentale per combattere l’incalzare della malattia. Conseguenza vuole che chi non ha la possibilità economica di effettuare risonanze a pagamento l’unica strada resta quella di lasciarsi morire. Siamo al borderline della costituzionalità ciò nonostante si respira aria di rassegnazione.