Black Sea proiettato ieri sera, giovedì 11, al Courmayeur Noir In Festival è una pellicola che vuole trasmettere la fascinazione, ma allo stesso tempo, l’angoscia delle profondità marine
[ads2] Robinson (interpretato da Jude Law) è un uomo di mare che, all’improvviso, viene licenziato dalla società di recupero relitti per cui lavorava; l’amore di Robinson per il mare è stato talmente forte che egli ha sacrificato qualsiasi cosa, soprattutto gli affetti familiari, alla propria professione.
Robinson torna però con forza alla vita marinara non appena viene a sapere della probabile esistenza di un carico d’oro in un sottomarino nazista affondato 70 anni prima nei mari della Georgia.
Il capitano Robinson allestisce dunque una ciurma, composta per metà da uomini britannici per metà da sovietici, per affrontare questa ardua missione che, alla fine, avrà un esito tragico. Dopo aver recuperato l’oro e aver riparato in maniera quasi insperata il proprio sottomarino, l’ostinazione di Robinson, quasi ossessionato dal volere migliorare la propria condizione sociale, porterà alla rovina.
Black Sea, come testimoniato dalla stesso regista Kevin Macdonald, vuole essere anche una pellicola che narra la vita marinara o, per andare ancora più nello specifico, “sotto-marinara”: un gruppo di uomini che vive insieme perennemente, tra cui ci sono conflitti, a volte anche aspri, ma che portano a una grande unione d’intenti; quasi un “patto d’onore” che conduce alla sopravvivenza.
Nel complesso Black Sea, nonostante l’appartenenza al mondo del noir (come l’utilizzo della luce artificiale, vero e proprio “codice visivo” del genere), manca di quella vena poetica che contraddistingue l’attuale produzione di genere.
A favore della pellicola, senza dubbio, la grande prova atttoriale di Jude Law, l’atmosfera cupa e per certi versi oppressiva del sottomarino, fino alla risalita finale, quasi liberatoria (per la storia e per il pubblico), di Tobin e Morozov, gli unici due superstiti della drammatica spedizione.