Accadde nel… 11 settembre 2001 – Il ricordo delle vittime
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“Nulla dies umquam memori vos eximet”. Nessun giorno vi cancellerà dalla memoria del tempo.
(Questa frase di Virgilio tratta dall’Eneide, parla di Eurialo e Niso, due giovani guerrieri simboli di bellezza e amicizia eterna, morti in fuga da Troia: la frase è stata ripresa e campeggia a New York, sul muro del Museo dedicato alle vittime dell’11 settembre 2001).
Era il 2001. Ogni uomo sulla faccia della terra si trovava ad essere coinvolto in un gesto di vita, un’attività sociale, un’azione del tutto banale che non avrebbe mai più dimenticato in quel preciso istante in cui il mondo subiva il più vile e tragico attacco terroristico della storia contemporanea. Quanto le immagini abbiano inciso nei cuori e nelle coscienze della gente, di certo non potranno essere paragonate ad alcun dramma epocale: niente potrà cancellare dalla mente i suicidi di massa avvenuti dopo lo schianto degli aerei a New York, sulle Torri Gemelle, così come le polveri, i funerali e il sangue dei coinvolti in strada.
Eppure a scuotere l’animo di ogni essere umano sulla faccia della Terra che ha vissuto il calvario dell’America come proprio, venivano pubblicate le registrazioni audio delle vittime innocenti, ovvero dei protagonisti del dramma che avrebbe segnato per sempre il XXI secolo.
“Ascoltami, mi devi ascoltare molto attentamente. Sono su un aereo. È stato dirottato. Ti amo tanto. Dì ai miei figli che li amo tanto“. La chiamata è di Ceecee Lyles, una delle hostess che si trovava sul volo United Airlines 93, dirottato l’11 settembre 2001, quello che si schianterà sulla Pennsylvania, senza riuscire a raggiungere il proprio obiettivo. La sua ultima telefonata è rimasta registrata sulla segreteria telefonica del marito e resa poi pubblica. In quel lasso di tempo tra l’inizio dell’attacco fino al crollo delle Torri Gemelle, sono centinaia le persone che hanno provato prima a cercare aiuto chiamando il 911 (il numero delle emergenze negli Usa) e poi, di fronte alla consapevolezza della morte, hanno tentato di salutare per l’ultima volta le persone care.
Una delle prime chiamate partite dall’interno delle Torri Gemelle è quella di Christopher Hanley, 35enne che si trovava all’ultimo piano del World Trade Center. Quattro minuti prima un aereo si è schiantato nel palazzo. Hanley non ha ancora chiaro che cosa sia successo. Nella sua telefonata al pronto intervento la voce è tranquilla. Spiega che c’è molto fumo e chiede l’intervento a chi di competenza. Anche l’operatore gestisce la telefonata secondo le procedure standard. Suggerisce di non agitarsi, di aprire le finestre. “Stiamo arrivando” assicura. Ma nessuno riuscirà a raggiungere Hanley.
In questi quattordici anni successivi all’attacco agli U.S.A. sempre più conversazioni telefoniche e sms sono stati resi noti pubblicamente, dalle autorità che le avevano registrate o dai familiari che volevano cercare di condividere il proprio lutto. Dalle prime chiamate al pronto intervento, via via con voci sempre più spaventate, fino ai messaggi di addio sulle segreterie telefoniche o nei cellulari. Dall’altra parte operatori impossibilitati a gestire un evento fino a quel momento imprevedibile.
“I miei unici pensieri sono per Nicholas, Ian e te” si legge in un SMS inviato l’11 settembre. “Sono terrorizzata. Ho bisogno di dirti quanto veramente ti ami. Diane” si legge in un altro. Tutti i messaggi spediti da cellulare a cellulare sono stati resi pubblici da Wikileaks nel 2009. Come le registrazioni audio, sono una finestra aperta sull’ansia e le emozioni profonde di quel giorno. “So che hai una relazione nuova e non ti importa più nulla di me – si legge in un SMS – Ma nonostante ciò che possa accadere oggi sappi che ti amo“. Tra i tanti messaggi di addio, paura e angoscia spunta anche qualche spiraglio di speranza: “Urgente. Sono Tim. Sto bene. Ero fuori dall’edificio quando è esploso, ma sto bene“. “Papà, ti voglio bene e sono felice che stia bene. Chiamami appena sei a casa” si legge in un altro.
Una speranza assente in tutte le registrazioni audio. “Stai calma, non ti muovere, stai lì, stanno venendo a prenderti” dice la centralinista del 911 a Melissa Doi. Lei continua a lamentarsi che “fa caldo, il pavimento è caldo, abbiamo paura“. Come tanti altri si trova sopra lo squarcio provocato da uno degli aerei che hanno colpito le Torri. Sotto di lei le fiamme provocate dall’impatto stanno erodendo l’acciaio che tiene in piedi la struttura del palazzo. Melissa sarà una delle oltre tremila vittime di quel giorno. L’ultimo a telefonare dal World Trade Center è Kevin Cosgrove: l’uomo si trova al piano numero 106, sta parlando con il 911 per cercare di capire se riusciranno a raggiungerli. All’operatore confessa di aver mentito alla moglie, di averle detto che era riuscito a mettersi in fuga, per tranquillizzarla. La chiamata si interrompe di colpo. Mentre parla si sente un boato. Il palazzo sta crollando sotto di lui. Kevin Cosgrove grida: “Oh my god“. Poi, solo il silenzio.
Dopo l’11 settembre 2001, il mondo non è stato più lo stesso.
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