
A Khatmandu è un brano forse poco conosciuto, ma che ci permette di entrare profondamente nell’universo musicale di Rino Gaetano.
Rino Gaetano, appunto, uno dei maggiori cantautori italiani, anche se considerato una sorta di “figlio unico” della canzone italiana, è ricordato non solo per la sua voce ruvida e spontanea, ma anche per l’ironia graffiante e dissacrante delle sue canzoni e per le denunce sociali, celate dietro i suoi testi all’apparenza disimpegnati e lievi.
Rino Gaetano, nato in Calabria, rimasto strettamente legato alla sua terra d’origine, ha sempre rifiutato ogni tipo di etichetta e di schierarsi politicamente, ma, nonostante questo, i suoi brani non mancano certo di riferimenti forti e critiche, anche alla classe politica italiana.
Soprattutto per questo motivo i suoi testi e le sue esibizioni dal vivo furono più volte censurati.
A Khatmandu è la quarta traccia di Ingresso libero, l’album d’esordio di Rino Gaetano, datato 1974: è anche l’unico degli album del cantautore calabrese a non prendere il nome dalla prima traccia né da nessun’altra.
Il brano è unico nel suo genere, così come un po’ tutta la musica di Rino Gaetano: infatti, già il titolo della canzone marca questa particolarità utilizzando una variante (Khatmandu) poco utilizzata per designare la capitale del Nepal che, di solito, viene scritta come Kathmandu o Katmandu.
Il titolo, probabilmente, venne in mente al cantautore non solo per designare un luogo remoto, ma pure dalla lettura delle pagine di Emilio Salgari. L’aver fatto il nome dello scrittore veronese non è fuori luogo in quanto il primo 45 giri singolo pubblicato da Rino Gaetano è I love you Maryanna/Jaqueline, firmato con lo pseudonimo di Kammamuri’s, un omaggio a uno dei personaggi de I Pirati della Malesia proprio di Emilio Salgari.
A Khatmandu pare richiamare, in tutto e per tutto, all’uso delle droghe leggere e ai vari effetti parzialmente allucinogeni che ne conseguono; anche se questo tema iniziale può essere considerato alla stregua di un mero richiamo testuale che lascia spazio e scena a una dimensione onirica che si sprigiona nei pochi versi di cui è formata la canzone (per ascoltarla clicca QUI).
Si fumava non ci davano la sola / uno sguardo o soltanto una parola / ci bastava per capire dove il lupo va a guaire
e la notte quei ricordi della sera / fra i fumi degli spini e la barbera / ci facevano pensare dove il lupo va a sbranare
A Khatmandu / non c’eri più / ma ho visto i tuoi occhi sull’asfalto blu
A Khatmandu / quando ero giù / fra i fori e la stazione c’era via Cavour
A Khatmandu non sei più lì / quando la tua voce / non arriva più al mi
Un atmosfera allucinata, dunque, che pare trasportare l’ascoltatore in un mondo notturno tramite una serie di voli pindarici, di associazioni mentali totalmente all’insegna della libertà. Anche lo stesso nome Khatmandu, ripetuto in forma di anafora nel corso del ritornello, sembra voler instillare, insistentemente, in chi ascolta, la fascinazione di paesaggi remoti, distanti migliaia di chilometri.
Ritornavo masticando le altalene / risorgendo dalla croce al kerosene / ma capimmo in un momento quando il lupo teme il vento
A Khatmandu / c’è anche gurù / ci porta in paranoia predicando a testa in giù
A Khatmandu / non dormi più / ti sforzi di scavare dentro i tuoi tabù
La rapidità della canzone sembra accomunarsi anche alla velocità del pensiero che poi, inevitabilmente, dopo un così vorticoso accostarsi d’immagini, sfuma, si perde nei meandri della mente e si scioglie nella pura musica dei due assoli (uno tra le strofe, l’altro nel finale), accompagnando lo spirito in luoghi ancora più eterei e distanti di Khatmandu.