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16 marzo 1978, una storia tutta italiana

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16 marzo 1978, una storia tutta italiana

Era il 16 marzo 1978, la primavera alle porte e la città eterna a fare da sfondo a una vicenda tra le più discusse della storia d’Italia

Un leitmotiv destinato a riproporsi nella vita di chi ha conosciuto il piombo di quegli anni per averli vissuti e di chi ne ha avuto conoscenza indiretta, ascoltandone i racconti o studiandone sommessamente gli avvenimenti.

La storia ce li presenta così i tasselli che compongono il mosaico, partendo da quell’anonimo giovedì di fine inverno, tanto anonimo da prevedere dibattito e successivo voto di fiducia per il quarto governo Andreotti, magari degno di una qualche nota se a partecipare attivamente alla configurazione della maggioranza di governo ci fossero i Comunisti Italiani (quelli di Berlinguer Enrico, quelli degli 11 milioni di voti).

Da un po’ di tempo, a Roma come in tutto il resto d’Italia, si fa un gran vociare di una sigla, sempre la stessa, accompagnata da una stella a cinque punte quando campeggia sui muri o sui volantini ciclostilati che rivendicato attentati, espropri proletari e via dicendo; un sospiro, quasi un rumore che pronunciato suona “bierre” e riempie la bocca di tutto il paese.

Brigate Rosse si chiamano, figlie della Resistenza e delle centinaia di “vittime di piazza” del dopo-Liberazione; indicare la strada per la conquista del potere e l’instaurazione della dittatura del proletariato gli obiettivi dell’organizzazione. “Fascisti e Borghesi ancora pochi mesi” il grido di battaglia di studenti e operai nelle piazze, focolai dei caldi autunni di quegli anni, “Fascista impara, P38 spara” il motto degli autonomi dei collettivi marxisti-leninisti di tutta Italia; il contorno del mosaico è quasi completo, mancano tasselli più o meno importanti a definirlo, tasselli che a volte raffigurano piazze sfigurate da ordigni di matrice Fascio-istituzionale (piazza della Loggia e piazza Fontana su tutte), a volte prendono il nome di ferrovieri libertari appassionati di lettura e Anarchismo, morti “suicidati” nei locali della Polizia di Stato in circostanze bizzarre e poco chiare.

Per rendere avvincente il racconto e riempirlo di contenuti mancano però dei personaggi, delle storie e un filo conduttore che le faccia incontrare; partiremo dal filo conduttore e lo chiameremo Compromesso Storico. Il suddetto filo ci rimanda quindi a quel 16 marzo 1978, precisamente al momento in cui la difficile mediazione trai cosiddetti Partiti di Massa aveva terminato la gestazione e si apprestava a vedere la luce; ed ecco il primo dei nostri protagonisti, se vogliamo il principale, di nome fa Aldo, Moro il cognome. È stato insignito di tanti incarichi istituzionali da renderne inutile la menzione, all’appello probabilmente manca solo la Presidenza della Repubblica e quella del Milan (sic!); di certo uno di quelli che hanno contribuito a muovere i fili di questo paese.

16 marzo 1978

Quella mattina del 16 marzo 1978, come tutte le mattine, la sua strada e quella del maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi s’incontrano a quelle degli altri membri della scorta, le dichiarazioni programmatiche dell’Andreotti quater sono previste per le 10 e l’Onorevole Moro non ha intenzione di tardare all’appuntamento. Non sono ancora le 9 quando Onorevole e scorta si apprestano a percorrere il tragitto che li condurrà in Parlamento a bordo delle rispettive automobili. Sono le 9:03 quando ai centralini della Polizia giunge l’anonima notizia di una sparatoria in via Fani, sparatoria nella quale periranno gli uomini della scorta, ma non l’Onorevole Moro, sequestrato, come verrà comunicato attorno alle ore 10:10 da una telefonata all’Agenzia ANSA, dalle Brigate Rosse. Bonisoli, Morucci, Gallinari e Fiore da una parte; Moretti, Lojacono, Casimirri e Balzerani dall’altra.

Il filo conduttore ci porta dall’altra parte della barricata, quella occupata dai cattivi, quelli che premono i grilletti e “liberano” il bersaglio dalla scorta. Questo matrimonio non s’ha da fare è proverbialmente la migliore delle spiegazioni alla genesi dell'”attacco al cuore dello stato”. Evitare il pericolo di commistione tra l’Atlantista Democrazia Cristiana ed il PCI in odore di Eurocomunismo. La dinamica è dettagliatamente menzionata un po’ ovunque sulla rete, magari per chi fosse interessato ad ambo le versioni è reperibile anche quella dei cattivi, fatto sta che qualcuno spara e qualcun’altro muore, il dramma è confezionato e pronto per la riproduzione nei migliori cinema.

Se non fosse che a distanza di oltre 30 anni uno di quelli che ha sparato, un cattivo infiltrato nei cattivi, abbia voluto liberarsi la coscienza dal peso del silenzio a mezzo di un’anonima missiva. Un tumore lo sta lentamente consumando nel fisico scrive, l’animo è già compromesso dal silenzio si legge a chiare lettere tra le righe della lettera inviata al quotidiano torinese La Stampa nel 2009. Eccone uno stralcio: «Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo 1978 ero su di una moto e operavo alle dipendenze del Colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le BR nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose, ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente».

L’Ispettore di Pubblica Sicurezza Rossi, che di nome fa Enrico come il compianto segretario del PCI, l’altra parte di quel Compromesso Storico, filo conduttore scelto per trattare dell’accaduto, ne ebbe visione solo nel 2011. Non protocollata, la lettera anche senza riscontri non lascia molte perplessità a chi come il Rossi, che di mestiere lavorava nell’antiterrorismo, conosce l’arte dell’attività inquirente. Nella lettera si menziona un testimone, le cui parole furono da subito ritenute molto attendibili, l’Ingegner Marini, alla cui persona da una motocicletta di grossa cilindrata, una Honda, partirono delle raffiche che a quanto si evince dalle successive telefonate minatorie e dal contenuto della lettera, dovevano servire a sistemare un pericoloso ostacolo alla riuscita del sequestro.

Le Brigate riescono nell’intento, per gli omicidi di quel giorno, il sequestro e l’esecuzione della “condanna a morte decretata dal tribunale del popolo” pagheranno senza peraltro mai nascondere le proprie responsabilità. Quel che rileva è quella motocicletta, “non è roba nostra” affermeranno nell’ordine Morucci e lo stesso Moretti nell’ambito della intervista rilasciata alla Rossanda. Ma da quella motocicletta si spara, per uccidere per altro, ma chi sia stato non è dato saperlo ancora oggi. Servizi segreti? Malavita? Quest’ultima pista, già battuta, non ha portato a nessuna conclusione degna di una qualsiasi nota; circa la prima sembra essere molto più plausibile, avvalorata dalla presenza del Colonnello Guglielmi in via Fani e dalla lettera che di uno dei passeggeri della moto dovrebbe essere il testamento. Rossi ritiene di poter confermare la somiglianza dell’autista del veicolo a Eduardo De Filippo, specificando inoltre che l’identificazione del reo non sarebbe stata particolarmente complicata se non fosse per gli ostacoli che l’ex Ispettore di Pubblica Sicurezza incontrò di continuo nello svolgimento delle indagini. Lo identifica Rossi, intrattiene un colloquio telefonico con il sospetto addirittura, ne riscontra il regolare possesso di due pistole, di cui una Drulov dalla canna particolarmente lunga e l’aspetto molto simile a quello di una mitraglietta, come quella intravista dal Marini per intenderci. Gli dà indicazioni su dove reperire la Beretta il sospetto, della Drulov neanche una parola, procede l’Ispettore Rossi e l’accertamento amministrativo diventa perquisizione, la perquisizione arriva fino in cantina dove su di una copia del 16 marzo 1978 de La Repubblica è adagiata la seconda pistola.

Le indagini sono a un punto cruciale sembrerebbe, ma i Carabinieri, allertati da qualcuno, si fanno consegnare dal Rossi le pistole, i giudici non acconsentono alle perizie richieste dall’Ispettore tanto meno gli consentono d’interrogare l’uomo. Il clima sembra essersi fatto pesante e Rossi opta per il pensionamento. Ma più di qualche dubbio permane, il sequestro di una foto dell’uomo lascia trasparire una concreta somiglianza con il famoso attore napoletano. Intanto le pistole sono state distrutte e l’uomo sul quale l’Ispettore indagava è ormai morto nella sua residenza toscana; per la verità su quei fatti del 16 marzo 1978 ci sarà ancora molto da aspettare.